Alla scoperta del Senter dèl Luf
Il Senter dèl Luf, aspro e solitario, ha una vicenda del tutto particolare da narrare, la storia di una tragica scomparsa e di una rinascita. Ve la raccontiamo.
Non sapeva, Emilio, che cosa gli avrebbe riservato quel luminoso giorno d’agosto. Si era alzato presto, ancora all’alba, infilando nello zaino una borraccia e poche cose.
Lo attendeva un’avventura, un sogno che meditava da tempo e segretamente. In preda all’eccitazione, con la camicia candida a maniche lunghe arrotolate sugli avambracci (non sarebbe stato conveniente restare in canottiera, aveva pur sempre una dignità da difendere), si stava ora inerpicando sulla ripida mulattiera che da Bogliaco conduceva verso Sasso e più su, secondo il suo intento, per giungere tra gli alpeggi del monte Denervo.
A cascina Piazze, meraviglioso angolo di paradiso, alcune amiche stavano trascorrendo la villeggiatura, e quel giorno, sabato 5 agosto del 1911, era tradizione onorare la Madonna della Neve. Dopo la messa davanti alla cappella, sarebbe stato bello stendersi sul prato all’esterno della cascina, consumando uno spuntino in compagnia dei mezzadri e valligiani che per l’occasione sarebbero saliti a frotte anche da Muslone.
Voleva trascorrere con loro questa giornata, ma non solo a questo pensava Emilio: la festa sarebbe stato solo il completamento dell’avventura.
Giunto a Briano, avrebbe lasciato il tranquillo sentiero e si sarebbe spostato sul fianco impervio del monte, rivolto a precipizio sul lago, per salire a Piazze da quella parte. Si stava immaginando la sorpresa e anche i complimenti delle amiche, mentre procedeva di buon passo verso il monte, bagnando di sudore il fazzoletto e a tratti anche il selciato e scansando con passo lesto la processione di asinelli e montanari che percorrevano in senso inverso la mulattiera, carichi, scendendo verso il lago.
Il sentiero del Pas dèl Luf, di cui aveva sentito favoleggiare, un percorso che già per il nome incuteva rispetto, esercitava su di lui, giovane ed avventuroso, una grande attrazione.
Scendendo di traverso lungo il pendio, una traccia più da capre che da esseri umani, con di sotto il lago luccicante che sembrava quasi volesse risucchiarlo, avrebbe deviato poco prima del prominente Dòs da Te, e, trasportato dai racconti dei montanari, ma anche dai sogni nel suo cassetto, aveva in animo di arrampicarsi tra gli anfratti delle bianche pareti rocciose, arrivando al bosco di cui si scorgevano i rami sporgenti là in alto e da lì alla cascina.
Nella biblioteca di casa aveva letto delle imprese di scalatori diventati famosi per la conquista delle cime più importanti delle Alpi, in quei momenti si sentiva come loro.
Prese perciò, staccandosi dal sentiero, a salire sulla sinistra per raggiungere un intaglio tra le rocce, le tracce degli animali selvatici a suggerirgli il passaggio. Procedeva con calma e con circospezione, fino a uno spuntone di roccia, da questo a un altro.
Tutto a un tratto un urlo e una caduta rovinosa all’indietro!
Ripresi i sensi, tramortito dall’urto e dallo spavento, sentiva un gran dolore dappertutto e osservava le gambe martoriate, con le caviglie che si gonfiavano a vista d’occhio. Si mise a gridare, ma i suoi ripetuti urli venivano portati via dal vento, restando senza risposta. Nessuno in quella landa impervia poteva sentirli. Raccogliendo le forze, si decise allora di scendere strisciando pian piano, almeno fino al sentiero.
In quel momento a Piazze la festa si stava svolgendo con caciara ed allegria. Le amiche si stavano domandando dispiaciute come mai Emilio non arrivasse forse, nonostante le promesse, aveva cambiato idea ed era rimasto nella sua casa sul lago.
Solo alla sera, i familiari, non vedendolo tornare, iniziarono a preoccuparsi seriamente.
In famiglia sapevano della sua destinazione, ma non dell’itinerario, per cui al mattino una spedizione ne ripercorse le tracce seguendo la via più logica, sperando si fosse fermato semplicemente a dormire a Piazze. Giunti al palazzo di Rasone, ebbero la conferma che era passato di lì, che si era fermato a rifocillarsi; seguendo le indicazioni, da Briano erano saliti alla bocchetta di Premaur e discesi alla cascina, ma qui purtroppo appresero che non era arrivato. Tornando, cercarono meglio, attenti agli indizi del suo passaggio, chiamandolo ripetutamente, ma senza risultato. Ripeterono le ricerche anche il giorno successivo, con le speranze che si affievolivano.
Solo dopo alcuni giorni, ispezionando dall’alto di cima Comer i dirupi sottostanti con un cannocchiale, scorsero finalmente la chiazza della camicia bianca di Emilio.
*** *** ***
Passarono gli anni, i decenni, attorno agli anni 2000 la montagna si stava spopolando e il sentiero del Pas dèl Luf , per i pochi che lo ricordavano, era divenuto un’entità quasi mitica. La signora Candida, la storica gestrice dell’osteria di Muslone, conservava di quel sentiero tra le rocce un lontano e timoroso ricordo. Ne parlava con rispetto mentre, di ritorno dalle nostre ispezioni per mappare i sentieri del territorio, ci si fermava nel suo ambiente rustico, un tutt’uno tra un’abitazione privata e un’osteria. Da tempo il bosco si era riappropriato anche della fascia appena sopra il paese, un tempo coltivata, un incendio di qualche anno prima aveva rinsecchito le piante facendo ricrescere i polloni alla base e cancellando i sentieri, tante le pietre crollate, sarebbe stata una pazzia intestardirsi a cercarlo, così ci ammoniva, scuotendo la testa.
Ma era proprio questa la sfida: nessuno ricordava più da dove si salisse e noi dovevamo scoprirlo!
Facendo bene attenzione alle tracce lasciate sul terreno e scansando la vegetazione, dopo vari tentativi andati a vuoto (alcune deviazioni portavano fuori strada), finalmente giungemmo alla prominenza detta Dòs da Te (gli anziani la ricordavano e ci raccontarono che il nome derivava probabilmente dal fatto che in quel punto venivano tese le reti per catturare gli uccelli di passaggio, in dialetto le tese), ma qui le nostre ricerche si interruppero. Dopo quel punto solo rocce e ghiaioni, nessun indizio di sentiero.
Riprovammo allora dall’alto, calandoci da Briano, muovendoci con attenzione e puntando verso il Dòs che vedevamo in lontananza sotto di noi. A tratti spuntava una traccia, poi di nuovo solo sassi e disordinati cespugli, la curiosità di raggiungere l’incavo oscuro di quella che sembrava una caverna appesa tra le rocce a guidarci. Finalmente riuscimmo a completare il collegamento, ma definirlo un sentiero era eccessivo, chissà dove passava il vero tracciato. Decidemmo che non era il caso di insistere.
Qualche anno dopo, guidando gli amici del gruppo speleologico, ripetemmo il percorso verso la caverna tra le rocce, sperando che all’interno si aprisse un qualche anfratto da esplorare.
Giunti con fatica nei paraggi, poco prima di questa, con grande meraviglia, la scoperta! In basso, tra quegli sfasciumi di pietre, ecco comparire una lapide con la scritta
In Memoria di
Emilio Parisini di anni 23,
vittima del suo ardimento,
5 agosto 1911
Della vicenda accaduta tanti anni prima non sapevamo nulla, che ci faceva una lapide in quel luogo dimenticato? Curiosi, scendendo in paese, chiedemmo informazioni agli eredi della famiglia Parisini, i quali ci indirizzarono verso un anziano parente. Ricordava bene quell’episodio, facendoci la descrizione di come il giovane fosse stato ritrovato, ormai senza vita, scalzo, sul Senter dèl Luf, in quella zona desolata.
Emilio è morto rincorrendo i suoi sogni; pochi anni dopo , se fosse sopravvissuto, avrebbe patito gli orrori della tragica guerra del ‘15-’18, forse per lui è stato meglio così.
Da parte nostra, con il ritrovamento della lapide, avemmo la prova che il sentiero passava proprio da quelle parti permettendoci di concretizzare il nostro, di sogno.
Lavorando con passione, tagliando rami ed arbusti, scavando e zappando, mettendo in sicurezza i tratti più impervi, ecco infine il ripristino del tracciato e la gioia di farlo rinascere e di condividerlo con altri.
Ancora adesso, il primo sabato d’agosto, a Piazze si tiene la semplice festa della Madonna della Neve, che Emilio ha potuto solo immaginare. E’ sempre una suggestione parteciparvi, anche se ormai in pochi ripetono la tradizione e nessuno ha più memoria di quel giovane tanto atteso e mai più ricomparso tra i vivi.
Franco Ghitti
Illustrazione dell’amico Lino Maceri.
Un ringraziamento ai miei compagni di avventura, Fabio Castellini e Mario Nisoli.